Vulnerabilità gloriosa. Il corpo cristologico come eccedenza del corpo sofferente e morto
Pubblicato 2021-12-07
Parole chiave
- body,
- vulnerability,
- wound,
- care,
- gift
Come citare
Abstract
Fondata sull'esperienza della fragilità ontologica del corpo, la vulnerabilità - nozione chiave del dibattito filosofico contemporaneo - segna il punto di partenza di ricerche filosofiche, come quella di Judith Butler, che si sforzano di elaborare una a-normatività originaria che si manifesta nelle forme dirompenti che fanno apparire il corpo come un'eccedenza di significato, come l'ectasia, il lutto e la sovversione politica. Tuttavia, tutte queste concezioni implicano un'antropologia kenotica, in cui il significato dell'esperienza umana consiste nella sua stessa perdita. Il suo equivalente etico è la reciprocità (non necessariamente condivisa) di tale perdita. Ciò equivale a una visione della “ferita”, da cui ha origine la vulnerabilità, sempre come un taglio dall'esterno verso l'interno, come un'apertura che significa una perdita e nega la dimensione autenticamente relazionale del riconoscimento reciproco. Anche le antiche figure della vulnerabilità concordano con questo significato di ferita. Al contrario, l'episodio dell'incredulità dell'apostolo Tommaso mostra una prospettiva opposta, in cui la ferita è un taglio dall'interno verso l'esterno: un'apertura che significa interezza e che permette di manifestare il senso dell'umano come positività assoluta, senza negare la sua piena vulnerabilità e, così facendo, senza avanzare una pretesa né di sovranità né di violenza. Tale accezione positiva della vulnerabilità come “apertura come interezza”, a sua volta, si manifesta a livello etico come un'antropologia della dedizione irrevocabile all'altro, in cui quest'ultimo viene riconosciuto così com'è, mentre ci si prende attivamente cura di lui.